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Storia di una mamma

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Vegliava una mamma il suo piccino, piena d'angoscia perché temeva che le morisse: era pallido pallido, cogli occhietti chiusi, il respiro come un soffio; di tanto in tanto ansimava affannoso e la povera mamma guardava allora la sua creaturina con tanto dolore negli occhi.
Ecco: pìcchiano all'uscio, ed entra una povera vecchia avvolta ben bene in una grossa e calda coperta; era quel che ci voleva, una coperta simile, con quel freddo 
Fuori, neve e ghiaccio coprivano ogni cosa: soffiava un vento gelato e tagliente.
Siccome la vecchìa tremava di freddo e il bambino s'era allora allora addormentato, la povera mamma pose un po' di birra a riscaldare accanto al fuoco, per offrir la alla povera donna che intanto s'era seduta e cullava il piccino; anche la madre si sedette, accanto a lei, e guardando il piccolo malato, che respirava sempre più affannosamente, e prendendogli una manina, chiese alla vecchia:
Che pensi? Credi anche tu che il mio bambino mi sarà lasciato? Come potrebbe togliermelo il buon Dio?
La vecchìna, che era appunto la Morte, scosse il capo ìn una certa maniera, che poteva voler dire tanto di no quanto di si.
La mamma abbassò gli occhi, e grosse lacrime le scesero lungo le guance: sentì una pesantezza al capo (erano tre giorni e tre notti che non chiudeva occhio) e alla fine si addormentò... oh, ma appena un minuto, un minuto soltanto! ... 
Si scosse, presa da un tremito di freddo, e balzò in piedi.
Che è successo? - gridò; e si guardò intorno, da tutte le parti.
La vecchia non c'era più e neppure il suo piccìno: la vecchia se l'era portato via. 
In un angolo il vecchio orologio ronfava, strideva: il grosso peso di piombo scese giù, giù fin quasi a terra, poi... bum! cadde; l'orologio si fermò. La povera mamma uscì di corsa, chiamando il suo bambino.
Fuori, fra la neve, sedeva una donna vestita tutta di nero che le disse: "La morte è passata da casa tua, l'ho vista scappar via col tuo bambino; corre più del vento, la vecchia, e non rende mai quel che s'è preso!"
"Almeno dimmi che strada ha pigliato!" - pregò la mamma. "Se mi dici la strada saprò trovarla."
"La strada la so," disse la donna vestita di nero "ma se vuoi che te la dica, bisogna che tu mi canti tutte le canzoncine che cantavi per addormentare il tuo piccino. Mi piacciono, sai? Le conosco già: sono la Notte e ho visto le tue lacrime mentre cantavi."
"Tutte tutte, te le canterò! Ma non mi trattenere ora; lasciami raggiungere la vecchia! che io trovi prima il mio bambino!" pregò la mamma.
La Notte rimase muta e ferma; allora la povera mamma, disperata, cantò fra le lacrime. 
Molte erano le canzoni, ma ancora di più le lacrime. 
Finalmente la Notte disse: "Piglia a destra, passa quella nera foresta d'abeti; quella è la strada che ho veduto prendere alla Morte che portava via il tuo bambino."
Proprio dove il bosco era più folto, la strada formava un crocevia, così che la povera mamma non sapeva più da che parte prendere. C'era lì un cespuglio di rovo, nudo di foglie e di gemme, perché era pieno inverno, e coi rami carichi di ghiaccioli.
"Hai veduto per caso passare la Morte col mio caro figliolino?"
"Sì," disse il cespuglio  "l'ho proprio vista; ma non ti dirò che strada ha preso, se tu prima non mi scaldi sopra al tuo cuore. Ho tanto freddo... mi sento proprio gelare..."
La mamma si strinse sul cuore forte forte il cespuglio di rovo per riscaldarlo bene. Le spine le entravano nella carne, il sangue usciva in grosse gocce. Ma ecco il cespuglio mise le sue verdi foglioline, le gemme si schiusero, in quella gelida notte d'inverno: tanto calore ha il cuore di una mamma addolorata! Allora il cespuglio le mostrò quale strada doveva prendere.
Arrivò così in riva a un gran lago nel quale non si vedeva neppure una barchetta. Come passare? Il ghiaccio alla superficie non era spesso abbastanza, ancora, per reggerla; l'acqua non era abbastanza bassa, perché si potesse arrischiare a traversarla a guado. 
Eppure bisognava ch'ella passasse per andare dal suo bambino
Pensò allora di bere il lago... Nessun uomo, al mondo, avrebbe potuto fare una cosa simile! ma la povera mamma addolorata sperò che le accadesse un miracolo.
"No, così non concludi nulla!" disse il lago. "Vediamo piuttosto se ci si può mettere, d'accordo. Mi piace molto far raccolta di perle, e i tuoi occhi sono le più lucenti che io mai abbia veduto. Vorresti darmeli a furia di piangere e lasciarli cadere dentro di me? In cambio ti porterò all'altra riva; là v'è un grande giardino in cui la Morte trapianta i suoi fiori e i suoi alberi, ognuno dei quali è una vita umana."
"Che cosa non sono pronta a darti, purché tu mi porti dal mio bambino?" disse piangendo la madre.
E pianse ancor più, sempre più, fin che gli occhi caddero in fondo al lago e divennero due perle preziose. Allora, sollevandola a volo, con un solo slancio, il lago la portò dall'altra riva. Qui si levava un edificio immenso, meraviglioso, lungo parecchie miglia. Non si capiva bene che cosa fosse: se una montagna con boschi e caverne, oppure opera dell'uomo. La povera mamma però non lo poteva vedere, perché aveva perso gli occhi a furia di piangere.
"E ora, dove posso trovare la Morte, che ha portato via il mio bimbo?" sospirava.
"Non è ancora arrivata," disse la vecchia delle tombe, che era la guardiana del grande giardino della Morte. - "Ma tu, come hai potuto venir fin qui? chi ti ha aiutata?"
"Iddio m'ha aiutata!" rispose la mamma  "Iddio nella sua misericordia! E anche tu, vero? sarai misericordiosa. Dimmi: dov'è il mio bambino?"
"Già... ma io non lo conosco! e tu sei cieca... Fuori le piante sono appassite in buon numero stanotte e tra poco la Morte verrà a trapiantarle. Tu sai, è vero? che ognuno, secondo la propria sorte, ha il suo albero o il suo fiore in vita; in apparenza son come tutti gli altri alberi e fiori, ma dentro ci batte un cuore. Anche i cuori dei bimbi battono. Tendi bene l'orecchio e forse, fra il battito di tanti cuori, distinguerai quello del tuo piccino. Ma se ti dico quello che devi fare, dopo che cosa mi darai?"
"Non ho più nulla, nulla!" disse la povera mamma. "Ma andrò fino in capo al mondo per te, se vuoi. ..."
"Non c'è proprio nulla che m'interessi in capo al mondo," disse la vecchia. "Potresti darmi invece i tuoi bei capelli così lunghi e neri; lo sai, no? quanto son belli. Mi piacciono proprio! in cambio ti posso dare i miei capelli bianchi: in mancanza di meglio."
"Oh, se non è che questo, son felice di darteli!" disse la mamma. Diede i suoi capelli neri, ed ebbe in cambio quelli canuti della vecchia. Entrarono nel gran giardino della Morte: qui crescevano misti insieme alberi e fiori. In serre di vetro fiorivano esili giacinti; e più in là grandi peonie, forti come alberi: c'eran fiori d'acqua, alcuni ancor freschi, altri semi-appassiti, su cui s'annidavano i molluschi; e i granchi neri si arrampicavano sugli steli. C'eran splendide palme, quercie e platani, e, più in là, prezzemolo e timo fiorito; ogni albero, ogni pianta portava un nome speciale: ognuna era una vita umana. Le persone erano ancor vive, chi nella Cina, chi in Groenlandia, insomma, in tutti i più diversi luoghi della terra. C'eran piante, troppo grosse per il vaso che le conteneva, che crescevano tutte rattrappite, mentre il vaso sembrava sul punto di scoppiare. Ogni tanto si vedeva anche qualche fiorellino delicato, coltivato con cura, in una zolla di terra grassa tutta coperta di musco.
La povera mamma si chinava sulle pianticelle più basse, ascoltava il palpito di tutti quei cuori umani :... erano milioni e milioni, eppure ella riconobbe il suo bambino.
"Eccolo!" esclamò tendendo la mano verso un fiorellino di croco azzurro, appassito e chinato a terra.
"Non lo toccare!" raccomandò la vecchia. "Mettiti vicino a lui, e quando arriva la Morte (che dovrebbe essere qui da un momento all'altro), impediscile di strappare la pianta. Se non ti dà retta, minacciala di fare tu altrettanto con gli altri fiori; vedrai che questo le darà da pensare. Di tutto deve render conto davanti a Dio, e nessun fiore può essere strappato senza il suo permesso."

Ed ecco, ad un tratto, una folata di aria gelida: la povera mamma cieca capì che la Morte si avvicinava.
"Come hai fatto a trovare la strada fin qui?" domandò la Morte. "Come hai fatto ad arrivare più presto dì me?"
"Sono una mamma!" diss'ella.

La Morte stese la lunga mano per strappare il fiorellino; ma la mamma lo ricopriva ben bene con le sue mani, sebbene tremasse tutta per il timore di toccare una delle foglioline. Ma la Morte le soffiò sulle mani: quel fiato era più gelido del più gelido vento, e le mani ricaddero senza forza. 
"Tu non puoi nulla contro di me!" disse la Morte.
"Ma Iddio può!" rispose ella. 
"Io faccio solamente la sua volontà." disse la Morte. "Sono la sua giardiniera e prendo le sue piante ed i suoi fiori per trapiantarli nel grande giardino del Paradiso, nell'inconoscibile paese. Come poi crescano, e che ci sia lassù, questo non te lo posso dire."
"Rendimi il mio bimbo!" disse la madre. Pianse, supplicò. Poi, a un tratto, afferrò con le due mani due fiori magnifici accanto a lei e gridò alla Morte: "Ora ti strappo tutti i fiori! bada che sono disperata!"
"Non toccarli!" urlò la Morte. "Tu dici d'essere tanto infelice e vorresti che un'altra mamma lo fosse altrettanto?"
"Un'altra mamma!" sussurrò la poverina lasciando subito i fiori.
"Tieni: ecco i tuoi occhi." disse la Morte. "Li ho pescati in fondo al lago: luccicavano talmente! Ma non immaginavo che fossero tuoi. Ripigliali pure (ora vedono meglio di prima) e guarda giù, in fondo a questo pozzo. Ti dirò chi erano i fiori che tu volevi strappare: tu vedrai tutto il loro avvenire, la loro vita umana; e vedrai quello che volevi turbare o annientare."
La mamma guardò giù nel pozzo, e si rallegrò tutta vedendo che uno di questi fiori era una benedizione per l'umanità e spargeva intorno a sé gioia e bene. Ma vide il destino dell'altro che era tutto tristezze, miserie, mali e rimpianti.
"L'uno e l'altro sono secondo la volontà di Dio!" disse la Morte.
"Ma chi è il fiore sventurato e chi quello felice?" chiese la madre.
"Ah, questo poi non te lo dico" rispose la Morte. "Sappi soltanto che uno dei due fiori era quello del tuo bimbo, era il ..destino di tuo figlio; tu hai veduto il suo avvenire."
Allora la povera mamma fu presa dallo spavento e gridò: "Quale dei due era il destino del mio bambino? Oh dimmelo! Risparmia l'innocente, risparmia al mio bimbo ogni sciagura! Portalo via, piuttosto! Portalo nel regno di Dio. Scorda le mie lacrime, e quanto ho detto e quanto ho fatto!"
"Davvero non ti capisco!" disse la Morte. "Vuoi che ti renda il tuo bambino, o vuoi che lo porti via con me, dove tu non sai?"
La povera mamma cadde in ginocchio, torcendosi le mani, e pregò Dio: "Se prego contro la Tua volontà, non m'ascoltare. La Tua volontà è il meglio. Non m'ascoltare, non m'ascoltare!" Chinò la testa sul petto; e la Morte portò via il suo bimbo nell'ignoto paese. 

La fiaba triste, ma bella, sebbene fantastica, esprime delle grandi verità: la prima è che l'amore di una mamma è così grande che ella sacrifica tutto di sè per aiutare e soccorrere il figlio La seconda è che nella vita spesso accadono fatti tanto dolorosi, ma che l'unico modo per sopportarli è accettare la volontà di Dio che opera per fini a noi sconosciuti ma ben chiari alla Divina Provvidenza.
Nel lungo calvario della povera madre, protagonista del racconto, accadono cose impossibili nella realtà, ma esse sono il simbolo di quanto caldo e profondo sia l'affetto materno e di quanto sublime sia la sua dedizione.
Certamente è doloroso e quasi inconcepibile per una madre perdere il proprio figlio ancora bambino, ma la possibilità che a lui sia destinata una vita infelice e misera vince la naturale ribellione ed ella sceglie di vivere in angosciosa solitudine, per consentire alla sua...creatura la pace eterna.


Mamma per la tua festa

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Mamma per la tua festa
Avevo preparato un fiore di cartapesta
Gambo verde, petali rosa
Vedessi mamma che bella rosa.
Ma per la strada il fiore è caduto
O forse sull’autobus l’ho perduto
Che pasticcio mammina mia
Avevo imparato la poesia
La poesia non la so più
Ora che faccio dimmelo tu?
Posso offrirti un altro fiore
Quello che nasce dal mio cuore
Posso dirti un ‘altra poesia
Ti voglio bene mammina mia! 


Serenata alla mamma

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Oh mamma, ti vo' far la serenata
e ti dirò che tu sei la mia fata...
E ti dirò che un angelo tu sei,
donato dal Signore ai giorni miei.
Con i fiori più cari una corona
voglio intrecciarti, mammina mia buona,
al sole vo' rubare i raggi belli,
per farne un serto per i tuoi capelli.
Ti donerò ogni giorno tanto amore
e specialmente se ti piange il cuore.
Il Cielo pregherò perchè tu viva
tanti e tanti anni, sempre più giuliva:
giuliva di vedere i figli tuoi
sempre più buoni... come tu li vuoi. 


La poesia

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Ho pregato un poeta di farmi una poesia
con tanti auguri per te, mammina mia;
ma il poeta ha risposto che il verso non gli viene,
così ti dico solo: ti voglio tanto bene!!!



Che cos'è una mamma (Francesco Pastonchi)

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Una mamma è come un albero grande

che tutti i suoi frutti ti dà:
per quanti gliene domandi,
sempre uno ne troverà.
Ti dà il frutto, il fiore, la foglia;
per te di tutto si spoglia; anche i rami si toglierà.
Una mamma è come un albero grande.

Una mamma è come il mare:
non c'è tesori che non nasconda.
Continuamente come l'onda
ti culla e ti viene a baciare.
Con la ferita più profonda
non potrai farlo sanguinare;
subito ritorna ad azzurreggiare.
Ua mamma è come il mare.

Una mamma è questo mistero.
Tutto comprende, tutto perdona,
non coglie il fiore per la sua corona.
Puoi passare da lei come straniero,
puoi calpestarla in tutta la persona:
ti dirà: - Buon cammino, bel cavaliero!
Una mamma è questo mistero. 


Mamma

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 Se fossi un pittore,

dipingerei un quadro
con tutti i colori del creato.
Al centro metterei
un cuore tutto d'oro
e sotto scriverei:
Mamma, tu sei il più bel tesoro!
Oggi è la tua festa,
ti offro baci e fiori,
grazie, mamma,
per il tuo immenso amore.
Stringimi forte al cuore,
la vita insieme è bella:
io sarò il tuo cielo azzurro,
tu sarai la mia stella.


La mamma

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La mattina è la prima
un sorriso è il suo risveglio
la giornata è cominciata
per la mamma indaffarata
tutti insieme a colazione
poi a scuola: che emozione!
torna a casa; che disordine!
ma lei mette tutto in ordine.
la mia mamma è magra, magra,
il suo naso è tutto storto
ma le voglio molto bene
anche se a volte a torto.



Poesia per la mamma

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Mamma è il giorno della tua festa
Ti vorrei mettere una corona in testa
Regina vorrei farti
Brillanti ed oro vorrei donarti
Ma non ho questo fiore
Accettalo
E’ il dono del mio cuore! 




Grazie mamma (Judith Bond)

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Grazie mamma 

perché mi hai dato
la tenerezza delle tue carezze,
il bacio della buona notte,
il tuo sorriso premuroso,
la dolce tua mano che mi dà sicurezza.
Hai asciugato in segreto le mie lacrime,
hai incoraggiato i miei passi,
hai corretto i miei errori,
hai protetto il mio cammino,
hai educato il mio spirito,
con saggezza e con amore
mi hai introdotto alla vita.
E mentre vegliavi con cura su di me
trovavi il tempo
per i mille lavori di casa.
Tu non hai mai pensato
di chiedere un grazie.
Grazie mamma! 


Mamma

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Amo i tuoi occhi sorridenti
quando mi saluti a scuola.
Amo la tua voce se dolce,
forte o arrabbiata.
Ti amo sempre,
se mi stai parlando
o anche sgridando.
Amo il tuo cuore tanto tenero
e pieno d'amore.
Amo tanto i tuoi baci
che mi addormentano di notte,
assieme ai forti abbracci.
Insomma, mamma,
ti amo come non mai
ti prego, mamma
non cambiare mai!



Per la tua festa

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Mamma per la tua festa
Avevo preparato un fiore di cartapesta
Gambo verde, petali rosa
Vedessi mamma che bella rosa.
Ma per la strada il fiore è caduto
O forse sull'autobus l'ho perduto
Che pasticcio mammina mia
Avevo imparato la poesia
La poesia non la so più
Ora che faccio dimmelo tu?
Posso offrirti un altro fiore
Quello che nasce dal mio cuore
Posso dirti un'altra poesia
Ti voglio bene mammina mia!


Azalea della ricerca 10 maggio 2015

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Come ogni anno, sarà la Festa della Mamma a fare da sfondo a una delle manifestazioni più amate e apprezzate da tutti i sostenitori della ricerca.



Con un contributo associativo di 15 euro, gli oltre 20mila volontari AIRC ti doneranno un’azalea contrassegnata dal marchio dell’Associazione. I fondi raccolti saranno destinati alla ricerca sui tumori femminili.


Verifica tutti gli eventi: sito AIRC


Guarda anche la pagina dedicata alla Festa della Mamma

Origini festa della mamma

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Le origini 

La festa della mamma è una ricorrenza diffusa in tutto il mondo.
Le sue origini sembrano essere legate alle antiche popolazioni politeiste che, nel periodo primaverile, celebravano le divinità femminili legate alla terra e alla sua ritrovata fertilità.
Nell’antica Grecia gli Elleni dedicavano alla loro genitrice un giorno dell’anno: la festa coincideva con le celebrazioni in onore della dea Rea, la madre di tutti gli Dei.
Gli antichi romani, invece, intitolavano una settimana intera la divinità Cibele, simbolo della Natura e di tutte le madri.


La festa in epoca moderna 
In epoca moderna la festa della mamma è stata interpretata e festeggiata in modi diversi a seconda della regione o dello Stato di riferimento. Tutte le tradizioni però hanno messo e mettono tuttora al centro la mamma e il suo ruolo all’interno della famiglia.

REGNO UNITO
In Inghilterra le celebrazioni legate alla festa della mamma risalgono al XVII secolo. Originariamente il “Mother’s Day” non era inteso come un’occasione per festeggiare la propria madre con fiori o regali, ma assumeva un significato completamente diverso.
La festività, chiamata "Mothering Sunday", coincideva con la quarta domenica di quaresima. In quell’occasione, tutti i bambini che vivevano lontano dalle loro famiglie, chi per imparare un mestiere e chi perché costretto a fare il servo per guadagnarsi da vivere, potevano ritornare a casa per un giorno.

A poco a poco si è diffusa la tradizione di riunirsi a metà del periodo di quaresima per festeggiare la propria famiglia e soprattutto la mamma, considerata un elemento fondamentale dell’unione tra consanguinei. I ragazzi che facevano visita alle loro famiglie portavano alle mamme fiori o altro genere di regali.
La tradizione del "Mothering Sunday" sopravvive ancora oggi in Inghilterra, dove è più comunemente conosciuta come “Mother’s Day” (Festa della mamma).

STATI UNITI D’AMERICA
A differenza dell’Inghilterra, negli Stati Uniti il "Mothering Sunday" non ebbe successo, dal momento che la popolazione era restia alle tradizioni popolari. Per questo motivo la festa della mamma si diffuse negli Stati Uniti come una festività legata ai movimenti sociali che chiedevano il suffragio alle donne e predicavano la pace.
Nel maggio 1870, negli Stati Uniti, Julia Ward Howe, attivista pacifista e promotrice dell’abolizione della schiavitù, propose l'istituzione del Mother's Day: un’occasione in più per riflettere sull’inutilità della guerra a favore di una pace duratura.
Altro nome legato all’origine della festività è quello di Anna M. Jarvis, che si batté per l’istruzione di una festa in onore di tutte le vittime della Guerra Civile americana. Dopo la morte della madre, alla quale era molto legata, Anna cominciò a inviare lettere a diversi ministri e membri del congresso, affinché venisse istituita una festa nazionale dedicata a tutte le mamme. L’obiettivo di Anna era quello di fare in modo che tutti celebrassero la loro madre, mentre questa era ancora in vita. Anna riuscì nel suo intento e nel maggio del 1908, a Grafton nel Massachusetts, venne celebrata la prima festa della mamma. L’anno seguente fu la volta di Filadelfia. La Jarvis scelse, come simbolo di questa nuova festa, il garofano: il fiore preferito dalla sua defunta madre.

Nel 1914 l’allora presidente degli Stati Uniti d’America Woodrow Wilson, per dimostrare profondo rispetto nei confronti di tutte le mamme, con una delibera del Congresso, istituì il “Mother's Day”. Non venne stabilita una data fissa sul calendario ma, per convenzione, si decise di celebrare tutte le mamme americane la seconda domenica di maggio.

ITALIA
In Italia la festa della mamma fu festeggiata per la prima volta nel 1957 da don Otello Migliosi, un sacerdote del borgo di Tordibetto ad Assisi. Successivamente la festa è entrata a far parte del nostro calendario e, come in molti altri Paesi, viene celebrata la seconda domenica di maggio.

RESTO DEL MONDO
Su esempio americano, quasi tutti i Paesi del mondo hanno fatto propria la festa della mamma con modalità e date diverse.

Di seguito riportiamo una tabella che illustra la posizione occupata nel calendario dalla festa della mamma nei diversi Paesi del mondo. 

· Seconda domenica di febbraio in Norvegia
· 30 Shevat (in febbraio) in Israele
· 3 marzo in Georgia
· 8 marzo in Bosnia, Serbia, Montenegro, Slovenia, Macedonia, Albania, Bulgaria, Romania
· Quarta domenica di quaresima in Irlanda e nel Regno Unito
· 21 marzo in Bahrain, Egitto, Libano, Siria, Palau, Giordania, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Yemen, Marocco
· 7 aprile in Armenia
· Prima domenica di maggio in Angola, Ungheria, Lituania, Portogallo, Spagna
· 8 maggio in Corea del Sud
· 10 maggio India, Messico, Oman, Pakistan, Qatar
· Seconda domenica di maggio in Australia, Austria, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Cina, Colombia, Cuba, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Ecuador, Hong Kong, Italia, Giappone, Lettonia, Malta, Malesia, Paesi Bassi, Porto Rico, Nuova Zelanda, Perù, Filippine, Singapore, Sudafrica, Svizzera, Taipei Cinese, Turchia, Stati Uniti, Venezuela
· 26 maggio in Polonia
· 27 maggio in Bolivia
· 30 maggio in Nicaragua
· Ultima domenica di maggio in Francia, Svezia, Repubblica Dominicana, Haiti
· 12 agosto in Thailandia
· 15 agosto in Costa Rica
· Terza domenica di ottobre in Argentina
· Ultima domenica di novembre in Russia
· 8 dicembre in Panama
· 22 dicembre in Indonesia

in Festa della Mamma trovi anche:
Poesie festa della mammaAzalea della ricercaIdee di carta

D’estate (G.Pascoli)

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Le cavallette sole
sorridono in mezzo alla gramigna gialla;
i moscerini danzano nel sole
trema uno stelo sotto una farfalla.

Il prato

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Posso aiutarti a dipingere, Sakumat? - chiese un giorno Madurer. 
Questi fiori gialli sono facili da fare... Ne posso dipingere uno anch'io? 

Dipingerai il fiore giallo, e anche altri fiori, se vuoi.
Io ti insegnerò e, quando i tuoi fiori andranno bene, mi aiuterai a fare quelli del prato - disse il pittore.

Così Sakumat, un poco ogni giorno, insegnò a Madurer a dipingere i fiori, e gli steli dell'erba; e poiché fiori e farfalle non sono molto diversi, anche le farfalle.
Ci vollero tre settimane perché Maduret fosse soddisfatto delle proprie capacità, e cominciasse ad aggiungere piccolissimi fiori e farfalle al prato, che era diventato un maturo campo di giugno, ricco di vita colorata. Nessun fiore mancava ormai nello spessore dell'erba.

La sua pittura si faceva ogni giorno più coraggiosa, mescolandosi a quella di Sakumat, spettinando un pò l'ordine delle forme, il tessuto del verde, come se qui e là una grossa lepre avesse saltellato o si fosse fermata ad annusare i pericoli del campo.

E il prato, luminoso assomigliava sempre più a una foresta d'erbe e di corolle.

Madurer, un giorno, cominciò ad aggiungere delle spighe sottili dorate che spiccavano nell'erba e spingevano, però non troppo, la loro cima nell'azzurro, del cielo.

È arrivato il grano, nel nostro prato? disse sorridendo Sakumat,che si fermava qualche volta alle spalle del bambino, a guardarne il lavoro..

L 'ha portato il vento fino qui, dalla grande vallata.

Arriva l'estate

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Arriva l'estate e io vado al mare

con la mia mamma imparo a nuotare

gioco con la sabbia e con il secchiello

faccio le buche e un bel castello

gioco con la palla e la butto nel mare

faccio un gran tuffo e la vado a pigliare.

Evviva l'estete, mi diverto un mondo!

Vieni con me, facciamo il girotondo.

Il topo di città e il topo di campagna (G. Gozzi)

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Un sorcio, che in città facea sua vita,

vide un dì il cielo placido e lucente.

Questo ad uscire e a passeggiar l'invita

alla campagna ed a fuggir la gente.

E mentre in parte ombrosa e assai romita

si gode, e nulla fuor che l'aura sente,

con passo onesto e faccia assai tranquilla

gli venne incontro un topolin di villa.

Con somma cortesia fan le abbracciate,

diconsi ben venuto e ben trovato:

fin che il sorcio di villa disse: - Entrate

meco in un bucolin da questo lato:

certo vogl'io che un bocconcel mangiate,

e siate del cammino ristorato. -

Così gli dice, e seco il conducea

nel bucolin che per albergo avea.

Quivi il povero sorcio contadino

con noci e poma e pere ed altre frutte

fàgli accoglienza come a un suo cugino

ma perde le fatiche e l'opre tutte;

poi che al sorcio gentile cittadino

paion quelle vivande vili e brutte;

nessuna di sé degna tien che sia,

onde le assaggia sol per cortesia.

E su 'l partirsi con gentil parlare

dissegli: - Amico, deh! Fammi un piacere

io t'attendo doman meco a pranzare:

sto nel tal loco: addio: viemmi a vedere. -

Vassene; e l'altro, che solea mangiare

spesso radici e gli parea godere,

ritrova il cittadino a grande onore

star nella guardaroba d'un signore.

La casa ivi parea dell'abbondanza:

cacio, prosciutti, salsicce e salami,

olio e butirro v'è sì che n'avanza,

roba per mille seti e mille fami.

E' ricevuto con gentil creanza;

e perché a suo piacer mangi e si sfami,

tosto senza aspettar desco o tovaglia,

assalgon tutti e due la vettovaglia.

Ma una gatta miagolar si sente,

onde si credon morti e rovinati:

fuggono tosto, e cascan lor dal dente

i cibi saporiti e delicati.

Passato il rischio vanno incontinente

alla lor mensa, ed eccogli assettati:

ma ecco un cuoco apre la serratura

e si rimpiattan pieni di paura.

La terza volta tornano a sedere:

la terza volta ancor credon morire,

perch'entra nella stanza uno staffiere

che gli fa dalla tavola fuggire.

Tornan la quarta e speran di godere;

ma una femminetta ecco venire,

onde di su e giù vengono e vanno,

con sospetto ogni volta e con affanno.

Il sorcio villanel, che ognora visse

felicemente e cheto nella sua campagna,

e cupidigia o tema non l'afflisse,

e vede or morte ogni boccon che magna,

prese licenza e in tal guisa gli disse:

- la tua gran mensa il cor non mi guadagna.

Ti dico il vero: a me, fratel, non piace

tanta abbondanza e non aver mai pace.

La fata nannona

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C’era un volta, tanto tanto tempo fa in un paese lontano, una fata di nome Nannona. Era piccola e delicata, i lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri, ma soprattutto una bacchetta magica davvero speciale, tutta d’oro e d’argento, con la quale andava in giro per il mondo a portare la nanna ai bambini. Con la sua bacchetta toccava delicatamente le spalle ai bimbi: “Sono la fata Nannona - diceva in un sussurro - adesso ti tocco giù, e la nanna fai tu”

A quel tempo però esisteva anche una strega cattiva, la strega Roberta, da sempre gelosa di Nannona. Roberta voleva la bacchetta magica, la voleva disperatamente ed un brutto giorno escogitò un trucco per riuscire a rubarla. Con una magia si trasformò in una bimba e poi aspettò l’arrivo di Nannona. 

Quando la fata arrivò e fece per toccarle la spalla con la bacchetta, con una mossa velocissima la afferrò e poi svanì nel nulla, con uno sbuffo di fumo, portandosi via la bacchetta magica. Nannona era disperata, adesso i bambini del mondo non avrebbero più potuto fare la nanna. La fata piangeva e piangeva, pensando ad un modo per riprendersi la bacchetta. 

Per fortuna, la sentirono due furbi topolini, Nino e Nina. Uscirono dalla loro casetta e si fecero spiegare cos'era successo. Nannona, tra i singhiozzi, raccontò loro ogni cosa. 

“Non ti preoccupare - dissero in coro Nino e Nina - ci penseremo noi”. E si avviarono verso il grigio castello della strega Roberta. Qui arrivati, si nascosero in un buchetto nel muro e spiarono Roberta che si pavoneggiava davanti ad uno specchio con la sua bella bacchetta rubata. I due topolini aspettarono pazienti che Roberta si stancasse. Quando finalmente la strega decise che era ora di andare a mangiare, appoggiò la bacchetta su una cassapanca, sicura che nessuno l’avrebbe potuta prendere. Ma i due furbi topini, quatti quatti e silenziosi come solo i topolini sanno essere, l’afferrarono veloci e scapparono via. 

Quando Roberta, tra urla e schiamazzi, fulmini e fiamme, si accorse che la bacchetta era sparita, loro erano ormai lontani. Tornarono così dalla fata Nannona che li accolse felice. “Eccoci qua - dissero - hai visto che tutto si è risolto?”. E la fata, per ricompensarli, regalò loro una scorta di formaggio per un anno intero, e poi tornò a fare il suo giro nel mondo, per portare la nanna a tutti i bimbi stanchi.

Viviamo l'acqua

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dal 28 giugno al 5 luglio 2015 - Val di Pejo



Ci è stato segnalato questo evento che sembra veramente particolare, sia per chi ama la montagna che per chi vuole fare una vacanza diversa...un'idea alternativa per tutta la famiglia...

Una settimana di eventi all'insegna della natura, dello sport, della montagna, della cultura e delle tradizioni, con tante attività e laboratori per i più piccoli, attraverso le manifestazioni proposte, ospiti e residenti potranno toccare con mano quanto l’acqua sia armonia, tradizione, cura e benessere, energia!

Tutte le informazioni a questo link

Buon Divertimento!!!

Il Girasole

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La leggenda

Un giorno, in un grande giardino in mezzo a tanti fiori colorati, era nato un fiore davvero strano: brutto e storto. Tutti gli altri fiori dicevano che era il più brutto fiore fra tutti e nessuno voleva stargli vicino.

Il povero fiore, triste e solo, soffriva, ma non si lamentava mai. Trascorreva le sue giornate a guardare il sole nel cielo. Gli piaceva così tanto il sole che, per cercare di avvicinarsi a lui, si era allungato molto.

Quando il sole si spostava, anche il fiore lo seguiva girando la sua corolla. Un giorno il sole si accorse di quel fiore solo e triste che lo guardava sempre, decise di conoscerlo e gli si avvicinò. Dopo aver ascoltato la triste storia del fiore, il sole decise di aiutarlo e con i suoi raggi splendenti abbracciò il fiore, che si accese subito di un bel giallo vivo e sembrava essere quasi d’oro.

Da quel giorno il fiore diventò il più alto e il più bel fiore fra tutti quelli del giardino.

Diventati amici, il sole decise che meritava un nome speciale e così da quel giorno venne chiamato GIRASOLE.

Leggenda del Girasole nel mondo

La leggenda della nascita del girasole è legata al popolo Incas.

Si narra come il dio Sole, quando gli uomini non sapevano coltivare né cacciare e si nutrivano solo dei nemici uccisi in battaglia, decise di inviare sulla terra due dei suoi figli, per portare la civiltà.

Il figlio del Sole, Manco Capac, insieme alla sua sorella-sposa, Mama Oello Huaco, intrapresero il viaggio portando con sé l’immagine del padre, rappresentata in un fiore, il girasole, e un cuneo d’oro, decidendo di stabilire la nuova dimora nel luogo dove il cuneo si fosse piantato nella terra senza sforzo.

Trovarono il posto al centro di una fertile vallata in Perù, chiamata successivamente Cuzco, “ombelico” in lingua Inca, diventata in seguito la capitale dell’Impero.

Un'altra leggenda

"Clizia era una giovane ninfa, innamorata persa del Sole, pertanto lo seguiva tutto il giorno mentre lui guidava il suo carro di fuoco per tutto l'arco del cielo. Il sole, dapprima fu lusingato e un pochino intenerito da quella devozione... credette di esserne a sua volta innamorato e decise di sedurla cosa non difficile per lui!
Ma ben presto il Sole si stancò dell'amore di Clizia e le diede, come suol dirsi... il benservito rivolgendo altrove le sue attenzioni.
La povera ninfa pianse ininterrottamente per nove giorni interi. Immobile in mezzo a un campo, osservava il suo amore attraversare il cielo sul suo carro di fuoco.
Così, pian piano, il suo corpo si irrigidì, trasformandosi in uno stelo sottile ma resistente, i suoi piedi si conficcarono nella terra mentre i suoi capelli diventarono una gialla corolla; si era trasformata in un fiore bellissimo color dell'oro... Il girasole...

Ma anche nella sua nuova forma la piccola ninfa innamorata continua tuttora a seguire il suo amore durante il giro nel cielo". (da Metamorfosi di Ovidio)

Significato

Il girasole è un fiore vitale, un fiore che sprigiona forza e potenza, un...fiore dallo stelo forte e robusto... capace di superare anche i due metri di altezza.
Un fiore che si contraddistingue per la sua semplicità disarmante... è lui il fiore che guarda in faccia il sole. Non ha paura, è fiero di sé, ama senza pregiudizi, senza vergogna, con tenacia va avanti anche se non si sente sempre apprezzato. Piange per amore se necessario ma non abbandona il sole, non lo tradisce anche se viene tradito dal sole che di notte scompare dietro un orizzonte impalpabile.
È un fiore dalle origini misteriose, legate a tradizioni millenarie, ma soprattutto è il simbolo della bella stagione e dell'estate: sarà per i suoi colori accesi ed estivi, sarà per la sua misteriosa vocazione a seguire sempre il sole, volgendo magicamente la corolla in una posizione di rispetto e venerazione.
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